RICICLARE LA CERAMICA: ESPERIMENTI E RICERCHE IN GIRO PER IL MONDO

 

La ceramica è terra, cosa c’è di più naturale? 

È un commento spontaneo, ci caschiamo tutti e invece quando dobbiamo buttare una tazza rotta scopriamo che va messa nell’indifferenziato: rientra in quella parte di rifiuti solidi urbani che devono essere smaltiti in discarica o in un termovalorizzatore.

Al di là del rifiuto di casa, va considerato che ogni laboratorio o industria ceramica produce scarti: pezzi che si rompono in fase di cottura o che non vengono smaltatati in modo omogeneo oltre e rimanenze di produzione: grandi sacchi di “terra” cruda e cotta che finiscono in discarica.  

L'argilla è un minerale, ma non è organica e non si decompone naturalmente, anzi, come sappiamo dai ritrovamenti archeologici, una volta cotta può rimanere inalterata per migliaia di anni. 

A complicare leggermente le cose c’è anche il sottile strato in smalto, che è una specie di vernice vetrificata, di fatto uno strato non omogeneo al resto del materiale.

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Eppure ceramica e porcellana si possono riciclare: occorre frantumare i pezzi in ceramica fino a sbriciolarli, per poi riutilizzarli come:

·      materiale di riempimento nei cantieri

·      ghiaia per le pavimentazioni (smussando i bordi appuntiti)

·      materia prima per nuove ceramiche. Gli articoli realizzati in ceramica possono essere ridotti in polvere fine e quindi rientrare nel processo di produzione. Si tratta di calibrare con attenzione e tanta ricerca le quantità di ceramica riciclata da mescolare con quella nuova, ma gli esperimenti in questi anni si stanno susseguendo in tutto il mondo. Abbiamo mappato tutti quelli che abbiamo trovato!

Le stoviglie di Earth Tatva, India, in arrivo sul mercato

Le stoviglie di Earth Tatva, India, in arrivo sul mercato

Earth Tatva è una start-up indiana in fase di lancio, interessante perché nelle sue stoviglie riesce a utilizzare fino al 60% di ceramica riciclata, che è davvero molto, ottenendo un materiale più resistente e flessibile. Il progetto è nella scia di altre sperimentazioni simili effettuate in Europa negli scorsi anni da parte di alcuni ceramisti.

Meglio di loro ha fatto solo il laboratorio di ceramica di Livepool Granby workshop, che afferma di aver realizzato una linea di stoviglie realizzata al 100% con materiali riclicati: non solo ceramica ma anche vetro, marmo, mattoni e altri scarti di cava. I prodotti sono stati realizzati con l’aiuto di una campagna su Kickstarter e sono out of stock, peccato. In ogni caso lo studio continua a sperimentare, aggiungendo materiali riciclati ai suoi impasti. 

Le stoviglie Granby dinnerware, made in UK, con il 100% di materiali riciclati.

Le stoviglie Granby dinnerware, made in UK, con il 100% di materiali riciclati.

L’antesignana è stata l’olandese Annelies de Leede, che per prima nel 1993 ha creato alcune ciotole, ora parte della collezione del MOMA, utilizzando frammenti di ceramiche smaltate ricliclato. 

In questi ultimi anni, le ricerche delle sue connazionali Lotte Douwes e Fabrique Publique si inseriscono nel suo solco, realizzando pezzi con frammenti e polveri di ceramica riciclata con il proposito di portare consapevolezza sugli sprechi.

Un altro esperimento che partendo da presupposti simili ha indagato una diversa soluzione è quello di Bentu, studio di design che nel 2018 ha lanciato WRECK, una serie di mobili creati mescolando al cemento gli scarti di ceramiche prodotte a Chaozhou, in Cina. Le immagini della quantità di prodotti in porcellana realizzati in Cina che non vengono immessi sul mercato perché difettosi è davvero incredibile e ci fa capire senza bisogno di altre parole quali sono i costi non evidenti della delocalizzazione della produzione. Se il vantaggio immediato per ognuno di noi è pagare pochi euro per una ciotola acquistata nella grande distribuzione, il costo per il Pianeta è tutto in spazzatura e sfruttamento delle risorse.

Ultimo, ma non certo per importanza, Re-Shokki è una linea di stoviglie frutto di un progetto di ampio respiro iniziato nel 2010 in Giappone, nella prefettura in cui si produce il 60% di tutte le porcellane da tavola giapponesi.

Il progetto ha coinvolto diversi attori oltre alle aziende produttrici di porcellane, centralizzando alcuni servizi (come la frantumazione delle ceramiche da riciclare) in modo da rendere il processo economicamente sostenibile e durevole. La percentuale di materiale riciclato è di circa il 20%, ma è molto interessante l’ampia scala in cui è stato messo in pratica: è il primo caso studio che ha coinvolto un intero distretto, intervenendo anche sui consumatori e sule aziende che si occupano dello smaltimento di rifiuti.

A proposito di distretti, qualcosa di interessante avviene in Italia tra i produttori di piastrelle… proveremo a raccogliere le idee in un prossimo post!